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Usi e costumi
La Passione
A San Basile, la sera del Giovedì Santo, quando si sono ormai concluse tutte le funzioni Liturgiche, persiste l’antichissima tradizione di cantare la Kalimera della Passione di Gesù Cristo. Questo è un canto, scritto dal papàs Giulio Variboba, che narra della passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo e si tramanda oralmente da secoli. Esso è eseguito in chiesa da un gruppo di cantori collocati dietro l’iconostasi, nello spazio separato dai fedeli e interdetto alle donne, che rappresentano il coro delle lamentatrici. Fino alla tarda notte del Giovedì Santo San Basile è percorso in lungo e in largo da uomini dotati delle voci più belle e squillanti che, dopo aver già cantato in chiesa, fanno rimbombare persino i vicoletti più angusti con il canto della Passione di Cristo; il loro intento è quello di far conoscere ma, soprattutto, di far rivivere alla comunità le terribili pene che Gesù sopportò per salvare gli uomini rendendo tutti partecipi di questo straordinario mistero. Essi vengono rifocillati, durante il percorso, da amici e parenti in linea con il dovere di ospitalità che caratterizza il popolo di San Basile.
Kristòs Anesti
All’alba della domenica di Pasqua si celebra il Kristòs Anesti. Il papàs con la croce percorre le vie principali del paese e insieme ai fedeli, soprattutto giovani, porta l’annuncio della Resurrezione cantando “Kristòs Anesti/Krishti u ngjall Cristo è risorto”.
Arrivati davanti alla porta della chiesa, che viene tenuta chiusa, il parroco batte per tre volte con la croce alla porta e, al terzo tentativo, la porta si apre consentendo l’ingresso nella chiesa illuminata a giorno cantando l’Inno della Resurrezione.
Questa è anche una notte di “trasgressione” dove sacro e profano si fondono in un abbraccio antico è, infatti, tradizione riunirsi e banchettare per aspettare l’alba. E mentre oggi si organizzano delle cene (Kumbitat) di festeggiamento per la resurrezione in cui viene consumato cibo e vino anticamente si allestiva un falò (Fukaraci Pashqvat) davanti alla Chiesa Parrocchiale e si aspettava l’alba mangiando Kulaçin, bevendo vino e cantando.
La Vallja
Anticamente la Vallja si svolgeva il pomeriggio della domenica di Pasqua, il lunedì e il martedì, oggi solo il martedì (t’martin e Pashkvat). Secondo la tradizione essa aveva luogo per rievocare e festeggiare una grande vittoria riportata da Skanderbeg sugli invasori turchi proprio nell’imminenza della Pasqua cristiana, la battaglia di Kruja il 24 aprile 1467. È una danza popolare che trova somiglianza nella danza pirrica dei greci ed in quella illiro-albanese. È formata soprattutto da fanciulle, vestite con l’abito di gala llambadhor che, tenendosi per mano o per i capi di serici fazzoletti, formano una lunga catena alla cui estremità si trovano 2 o più giovani detti Kapurel che guidano la vallja e intonano i canti.
La Vallja così composta, gira danzando con movimenti artistici ora disegnando un circolo ora una spirale eseguendo canti epici, rapsodie tradizionali, canti augurali, di sdegno o di ringraziamento per lo più improvvisati vjershat. Spesso qualche amico o qualche forestiero viene imprigionato e “costretto” ad offrire. Molti sono però quelli che offrono spontaneamente e, per fare onore alla Vallja organizzano veri e propri buffet nella varie gjitonie. Il gruppo di cantori allora ringrazia: “Neva kush na bori nder akuavit na dhan pir vere…” .
Il Costume
Anche il costume veshia si è tramandato per secoli e costituisce uno tra gli
elementi della nostra identità culturale arbëreshe. Antichi documenti notarili
testimoniano che esso faceva parte della dote delle giovani spose di San
Basile. Qui esistevano due tipi di abiti stolit: il llambadhor e l’abito di mezza
festa o second abti.
Il costume di gala, ricamato in oro e adornato di galloni preziosi, era l’abito nuziale per eccellenza, veniva anche indossato nelle occasioni speciali, nelle funzioni liturgiche importanti e nel giorno della dipartita come abito funebre.
Il costume di mezza festa, ormai ne sono rimasti pochissimi esemplari, veniva indossato generalmente la domenica successiva al matrimonio per andare in chiesa “a baciare il vangelo”, quando si andavano a fare le visite di cortesia e la domenica per andare a messa. Il prezioso costume llambadhor è molto elaborato e consta di vari indumenti. Il costume di mezza festa è meno elaborato del lambadhor ed è costituito da pochi elementi.
I falò di San Giuseppe
La sera del 18 marzo in tutte la gjitonie(rioni) vengono allestiti falò votivi in onore di San giuseppe Fukarecat. Fino a qualche decennio fa intorno al fuoco si cantava la kalimera della Passione di Cristo perché era concesso, solo in questa occasione, cantarla fuori dalla chiesa. I giovani giravano tra i fuochi cantando antichi vjershë e canti che avrebbero eseguito il martedì di Pasqua durante la vallja. Oggi questa usanza è scomparsa e ha preso il sopravvento l’aspetto più profano: si preparano ricchi banchetti il cui piatto principale è Tumac me qiqra.
Un tempo l’allestimento dei falò coinvolgeva tutto il paese, già un mese prima ci recava in campagna per raccogliere le fascine da ardere. Ogni famiglia partecipava dando qualcosa: una fascina da ardere oppure le fronde degli ulivi tagliati durante la potatura. Si innescava una forte competizione tra le gjitonie a chi doveva fare il falò più grande e non mancavano le scorrettezze: si costituivano delle vere e proprie bande di ragazzi che di notte si rubavano le fascine a vicenda. La lotta cessava soltanto la sera del 18 Marzo.
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